Libr. Hachette et Cie (p. 189-204).
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ANNEXES


Poésies de Michel-Ange


I

Voir page 52


Signor, se vero è alcun proverbio antico
Questo è ben quel, che chi puo mai non vuole.
Tu ai creduto à favole e parole
E premiato chi è del ver nimico.
I’ sono e fui gia tuo buon servo antico,
A te son dato come e raggi al sole,
E del mie tempo non ti incresce o dole,
E men ti piaccio, se piu m’ afalico.
Gia sperai ascender per la ua alteza,
E ’l gusto peso e la potente spada
Fussi al bixognio e non la voce d’echo.
Ma ’l cielo è quel ch’ ogni virtu dispreza
Locarla al mondo, se vuol, c’ altri vada
A prender fructo d’un arbor, ch’ secho.

(Poésies, édition Frey, III)


II

Voir page 65–66


I’ o gia facto un gozo in questo stento,
Come fa l’aqua a gacti in Lombardia
Over d’ altro paese che si sia,
Ch’ a forza ’l ventre apicha socto ’l mento.

La barba al cielo e la memoria sento
In sullo scrignio e ’l pecto fo d’arpia,
E ’l pennel sopra ’l viso tuctavia
Mel fa gocciando un richo pavimento.
E lombi entrati mi son nella peccia,
E fo del cul per chontrapeso groppa,
E passi senza gli ochi muovo invano.
Dinanzi mi s’allunga la chorteccia
E per piegarsi adietro si ragroppa,
E tendomi com’ archo soriano.

Pero fallace e strano
Surgie il iuditio, che la mente porta,
Che mal si tra’ per cerboctana torta.

La mia pictura morta
Difendi orma’, Giovanni, e ’l mio onore,
Non sendo in loco bon ne io pictore.

(Poésies, IX)


III

Voir page 67


Grato e felice, c’ a tuo feroci mali
Istare e vincer mi fu gia conciesso ;
Or lasso, il pecto vo bagniando spesso
Chontra mie voglie e so, quante tu vali.
E se i dannosi e preteriti strali
Al segnio del mie cor non fur ma’ presso,
Or puoi a cholpi vendichar te stesso
Di que begli ochi, e fien tucti mortali.
Da quanti lacci ancor, da quante rete
Vagho uccellecto per malignia sorte
Champa molti anni per morire po’ peggio,
Tal di me, Donne, amor, chome vedete,
Per darmi in questa eta piu crudel morte
Champato m’a gran tempo, chome veggio.

(Poésies, II)


IV

Voir page 68


Quanto si gode, lieta e ben contesta
Di fior, sopra crin d’or d’una, grillanda,
Che l’altro inanzi l’uno all’ altro manda,
Chome ch’il primo sia a baciar la testa !
Contenta è tucto il giorno quella vesta
Che serra ’l pecto e poi par che si spanda,
E quel c’oro filato si domanda
Le guanci’ e ’l collo di tochar non resta.
Ma piu lieto quel nastro par che goda,
Dorato im punta, con si facte tempre,
Che preme e tocha il pecto, che gli allaccia.
E la schiecta cintura, che s’annoda,
Mi par dir seco : qui vo’ stringier sempre. —
Or che farebon dunche le mie braccia !

(Poésies, VII)


V

Voir page 68


………………………………………………
Quando un di sto, che veder non ti posso,
Non posso trovar pace in luogo ignuno ;
Se po’ ti veggo, mi s’appicca adosso,
Come suole il mangiar fa al digiuno.

………………………………………………
Com’ altri il ventre di votar si muore,
Ch’ è piu ’l conforte, po’ che pri’ è ’l dolore.

………………………………………………
S’avien che la mi rida pure um poco
O mi saluti in mezzo della via,
Mi levo come polvere dal foco
O di bombarda o d’altra artiglieria.
Se mi domanda, subito m’affioco,

Perdo la voce e la riposta mia,
E subito s’arrende il gran desio.

………………………………………………
Tu m’entrasti per gli ochi, ond’ io mi spargo
Come grappol d’agresto in un’ ampolla,
Che doppo ’l collo crescie, ov’ è piu largo.
Gosi l’inmagin tua, che fuor m’inmolla,
Dentro per gli ochi crescie, ond’ io m’allargo,
Corne pelle ove gonfia la midolla.
Entrando in me per si strecto viaggio,
Che tu mai n’esca, ardir creder non aggio.

(Poésies, XXXVI)


VI

Voir page 69, note 1


Com’ aro dunque ardire
Senza vo’ ma’, mio ben, tenermi ’n vita,
S’ io non posso al partir chiedervi aita ?
Que’ singulti e que’ pianti e que’ sospiri
Che ’l miser core voi accompagnorno,
Madonna, duramente dimostrorno
La mia propinqua morte, e’ miei martiri.
Ma se ver è, che per assenzia mai
Mia fedel servitu vadia in obblio,
Il cor lasso con voi, che non è mio.

(Poésies, XI)


VII

Voir page 96


Per molti, Donna, anzi per mille amanti
Creata fusti e d’angelica forma ;
Or par, che ’l ciel si dorma,
S’ un sol s’apropria quel ch’ è dato a tanti,
Ritorna a nostri pianti
Il bel degli ochi tuo, che par che schivi

Chi del suo dono in tal miseria è nato.
— De, non turbate i vostri desir santi,
Che chi di me par che vi spogli e privi
Col gran timor non gode il gran pechato ;
Che degli amanti è men felice stato
Quello ove ’l gran desir gran copia affrena
C’ una miseria, di speranza piena.

(Poésies, CIX, 48)


VIII

Voir page 97


S’alcun se stesso al mondo ancider lice,
Po’ che per morte al ciel tornar si crede,
Sarie ben giusto a chi con tanta fede
Vive servendo miser’ e ’nfelice.

………………………………………………

(Poésies, XXXVIII)


IX

Voir page 101


………………………………………………
Or, che nostra miseria el ciel ti tolle,
Increscati di me, che morte vivo.

………………………………………………
Tu se’ del morir morto e facto divo
Ne tem’ or piu cangiar vita ne voglia,
Che quasi senza invidia non lo scrivo.
Fortuna e ’l tempo dentro a vostra soglia
Non tenta trapassar, per chui s’adduce
Fra no’ dubbia letitia e cierta doglia.
Nube non è che scuri vostra luce,
L’ore distinte a voi non fanno forza,
Caso o necessita non vi conduce.
Vostro splendor per nocte non s’ammorza
Ne crescie ma’ per giorno, benche chiaro.

………………………………………………
Nel luo morire el mio morire imparo,
Padre mie caro
………………………………
Non è, com’ alcun crede, morte il peggio
A chi l’ultimo di trasciende al primo
Per gratia ecterno appresso al divin seggio ;
Dove, Die gratia, ti prossummo e stimo
E spero di veder, se ’l freddo core
Mie ragion traggie dal terrestre limo.
E se tra ’l padre e ’l figlio octimo amore
Crescie nel ciel, cresciendo ogni virtute.

(Poésies, LVIII)


X

Voir page 102


Oilme, Oilme, ch’ i’ son tradito
Da giorni mie fugaci e dallo spechio,
Che ’l ver dice a ciascun, che fiso ’l guarda !
Cosi n’avien, chi troppo al fin ritarda,
Com’ o fact’ io, che ’l tempo m’ è fuggito,
Si trova come me ’n un giorno vechio.
Ne mi posso pentir ne m’apparechio
Ne mi consiglio con la morte appresso.
Nemico di me stesso,
Inutilmente i pianti e sospir verso,
Che non è danno pari al tempo perso.
Oilme, oilme, pur reiterando
Vo ’l mio passato tempo e non ritruovo
In tucto un giorno che sie stato mio !
Le fallaci speranze e ’l van desio,
Piangendo, amando, ardendo e sospirando —
Ch’ affetto alcun mortal non mi è piu nuovo —
M’ anno tenuto, ond’ il conosco e pruovo :
Lontan certo dal vero,
Or com periglio pero ;
Che ’l breve tempo m’è venuto manco,

Ne sarie ancor, se s’allungassi, stanco.
I’ vo lasso, o’lme, ne so ben dove ;
Anzi temo, ch’il veggio, e ’l tempo andato
Me ’l mostra, ne mi val, che gli ochi chiuda.
Or che ’l tempo la scorza cangia e muda,
La morte e l’alma insieme ognior fan pruove.
La prima e la seconda, del mie stato.
E s’ io non sono errato, —
Che Dio ’l voglia, ch’ io sia ! —
L’etterna pena mia
Nel mal libero inteso oprato vero
Veggio, Signior, ne so quel ch’ io mi spero.

(Poésies, XLIX)


XII

Voir page 108, note 1


Oltre qui fu, dove ’l mie amor mi tolse,
Suo merce, il core e vi è piu la vita.
Qui co’ begli ochi mi promisse aita
E co’ medesmi qui tor me la volse.
Quinci oltre mi lego, quivi mi sciolse.
Per me qui piansi e con doglia infinita
Da questo sasso vidi far partita
Colui, c’ a me mi toise e non mi volse.

(Poésies, XXXV)


XIII

Voir page 108, note 2


Per sempre a morte e prima a voi fu’ dato
Sol per un ora e con dilecto tanto
Porta’ bellezza e po’ lasciai tal pianto,
Che ’l me’ sarebbe non esser ma’ nato.
[1]

(LXXIII, 29)

S’ i’ fu’ gia vivo, tu sol, pietra, il sai,
Che qui mi serri, e s’alcun mi ricorda,
Gli par sogniar : si morte è presta e ’ngorda,
Che quel che è stato non par fusse mai.
[2]

(LXXIII, 22)

Chi qui morto mi piange indarno spera,
Bagniando l’ossa e ’l mie sepulcro, tucto
Ritornarmi com’ arbor secho al fructo ;
C’uom morto non risurge a primavera.
[3]

(LXXIII, 21)


XIV

Voir page 112


Veggio co be vostr’ ochi un dolce lume,
Che co mie ciechi gia veder non posso.
Porto co vostri piedi un pondo adosso,
Che de mie zoppi non è lor costume.
Volo con le vostr’ ale e senza piume.
Col vostro ingegno al ciel sempre son mosso.
Dal vostro arbitrio son pallido et rosso,
Freddo al sol, caldo alle piu fredde brume.
Nel voler vostro è sol la voglia mia.
I miei pensier nel vostro cor si fanno.
Nel vostro fiato son le mie parole.
Come luna da se sol par ch’io sia,
Che gli ochi nostri in ciel veder non sanno
Se non quel tanto che n’accende il sole.

(Poésies, CIX, 19)


XV

Voir page 112–113


S’un casto amor, s’una pieta superna,
S’una fortuna infra dua amanti equale,
S’un’ aspra sorte all’un dell’ altro cale,
S’un spirto, s’un voler duo cor governa,
S’un’ anima in duo corpi è facta ecterna,
Ambo levando al cielo e com pari ale,
S’amor d’un colpo e d’un dorato strale
Le viscier di duo pecti arda e discierna,
S’amar l’un l’altro e nessun se medesmo
D’un gusto e d’un dilecto a tal mercede,
C’ a un fin voglia l’uno e l’altro porre,
Se mille e mill’ altri non sarien centesmo
A tal nodo d’amore, a tanta fede, —
E sol l’isdegnio il puo rompere e sciorre ?

(Poésies, XLIV)


XVI

Voir page 113–114


S’ i’ amo sol di te, signior mie caro,
Quel che di te piu ami, non ti sdegni,
Che l’un dell’ altro spirto s’innamora.
Quel che nel tuo bel volto bramo e ’mparo,
E mal compres’ è dagl’ umani ingegni,
Chi ’l vuol saper convien che prima mora.

(Poésies, XLV)


XVII

Voir page 114, note 3


………………………………………………
O fussi sol la mie l’irsuta pelle,
Che del suo pel contesta, fa tal gonna,
Che con ventura slringe si bel seno,

Ch’ i’ l’are’ pure il giorno ; o le pianelle,
Che fanno a quel di lor basa e colonna,
Ch’ i’ pur ne porter et duo nev’ almeno.

(Poésies, LXVI)


XVIII

Voir page 127


Felice spirto, che con zelo ardente,
Vechio alla morte, in vita il mio cor tieni
E fra mill’ altrj tuo dilecti e beni
Me sol saluti fra piu nobil gente,
Chome mi fusti agli ochi, or alla mente
Per l’altru’ fiate a consolar mi vieni ;
Onde la speme il duol par che raffreni,
Che non men che ’l disio l’anima sente.
Dunche trovando in te chi per me parla
Gratia di te per me fra tante cure,
Tal gratia ne ringratia chi ti scrive.
Che sconcia e grande uxur saria a farla,
Donandoti turpissime picture
Per riaver persone belle e vive.

(Poésies, LXXXVIII)


XIX

Voir page 128–129


Se ’l mie rozzo martello i duri sassi
Forma d’uman aspecto or questo or quello,
Dal ministro, che ’l guida iscorgie e tiello,
Prendendo il moto, va con gli altrui passi.
Ma quel divin che in ciel alberga e stassi
Altri e se piu col proprio andar fa bello ;
E se nessun martel senza martello
Si puo far, da quel vivo ogni altro fassi.
E perche ’l colpo è di valor piu pieno
Quant’ alza piu se stesso alla fucina,

Sopra ’l mio questo al ciel n’è gito a volo.
Onde a me non finito verra meno,
S’or non gli da la fabbrica divina
Aiuto a farlo, c’al mondo era solo.

(Poésies, CI)


XX

Voir page 129


Quand’ el ministro de sospir mie tanti
Al mondo, agli ochi mei, a se si tolse,
Natura, che fra noi degnar lo volse,
Resto in vegognia, e chi lo vide in pianti.
Ma non come degli altri oggi si vanti
Del sol del sol, ch’allor ci spense e tolse,
Morte, c’amor ne vinse e farlo il tolse
In terra vivo e ’n ciel fra gli altri santi.
Cosi credette morte iniqiia e rea
Finir il suon delle virtute sparte
E l’alma, che men bella esser potea.
Contrari effetti alluminan le carte
Di vita piu che ’n vita non solea,
E morto a ’l ciel, c’allor non avea parte.

(Poésies, C)


XXI

Voir page 130, en note


………………………………………………
Amor, perche perdonj,
Tuo somma cortesia
Sie di belta qui tolta
A chj gusta et desia
Et data à gente stolta ?
Dhe, falla un ’altra volta
Pietosa drento et si brutta di fori,
Ch’a me dispiaccia et di me s’innamori.

(Poésies, CIX, 63)


XXII

Voir page 143, note 2


Che fie di me ? Che vo’ tu far di nuovo
D’un arso legnio e d’un afflitto core ?
Dimmelo um pocho, Amore,
Accio che io sappi, in che stato io mi truovo.

(Poésies, CX)

Amor………………………………
D’un vechio stanco oma’ pue’ goder poco :
Che l’alma, quasi gunta al’ altra riva,
Fa scudo a tuo di piu pietosi strali ;
E d’un legni’ arso fa vil pruova il foco.

(Poésies, CXIX)


XXIII

Voir page 165


O nott’, o dolce tempo, benche nero,
Con pac’ ogn’ opra sempr’al fin assalta.
Ben ved’ e ben intende chi t’exalta.
Et chi t’ honor’ ha l’intellett’ intero.
Tu mozzi et tronchi ogni stanco pensiero,
Che l’ humid’ ombra et ogni quiet’ appalta,
Et dall’ infima parte alla piu alta
In sogno spesso porti, ov’ ire spero.
O ombra del morir, per cui si ferma
Ogni miseri’, a l’alma, al cor nemica,
Ultimo delli afflitti et buon rimedio,
Tu rendi sana nostra carn’ inferma,
Rasciug’ i pianti et posi ogni fatica
Et furi a chi ben vive ogn’ ir’ e tedio.

(Poésies, LXXVIII)


XXIV

Voir page 166


Mentre che ’l mie passato m’ è présente.
Si come ogni or mi viene,
O mondo falso, allor conosco bene
L’errore e ’l danno dell’ umana gente
Quel cor c’ alfin consente
A tuo lusingi e a tuo van dilecti
Prochaccia ail’ alma dolorosi guai.
Ben lo sa chi lo sente,
Corne spesso promecti
Altrui la pace e ’l ben, che tu non ai
Ne debbi aver gia mai.
Dunche a men gratia chi piu qua soggiorna ;
Che chi men vive piu lieve al ciel torna.

(Poésies, CIX, 32)


XXV

Voir page 166–167


Chondocto da molt’ anni all’ ultim’ ore,
Tardi conosco, o mondo, i tuo dilecti.
La pace, che non ai, altrui promecti
Et quel riposo c’anzi al nascer muore.
La vergognia e ’l timore
Degli anni, c’or prescrive
Il ciel, non mi rinnuova
Che ’l vecchio e dolce errore,
Nel quai chi troppo vive
L’anima ancide e nulla al corpo giova.
Il dico e so per pruova
Di me, che ’n ciel quel solo a miglior sorte
Ch’ebbe al suo parto piu pressa la morte.

(Poésies, CIX, 34)


XXVI

Voir page 171


Giunto è gia ’l corso della vita mia
Con tempestoso mar per fragil barca
Al comun porto, ov’ a render si varca
Conto e ragion d’ogni opra trista e pia.
Onde l’ affectuosa fantasia,
Che l’arte mi fece idol’ e monarca,
Conosco or ben, com’ era d’error carca,
E quel c’a mal suo grado ognuom desia.
Gli amorosi pensier, gia vani e lieti,
Che fien’ or, s’a duo morte m’avicino ?
D’una so ’l certo, e l’altra mi minaccia.
Ne pinger ne scolpir fie piu che quieti
L’anima, volta a quell’ amor divino
C’aperse a prender noi ’n croce le braccia.

(Poésies, CXLVII)


XXVII

Voir page 171, note 1


Scarco d’un’ importuna e greve salma,
Signior mie caro, e dal mondo disciolto,
Qual fragil legnio a te stanco rivolto
Da l’orribil procella in dolce calma
[4]

(Poésies, CLII)

Di giorno in giorno insin da mie prim’ annj,
Signior, sochorso tu mi fusti e guida
[5]

(Poésies, CXLIX)

Le favole del mondo m’anno tolto
Il tempo, dato a contemplar Idio.

………………………………………………
Amezzami la strada, c’al ciel sale,
Signior mie caro
…………………………
Mectimi in odio quante ’l mondo vale,
E quante suo bellezze onoro e colo,
C’anzi morte caparri ecterna vita.
[6]

(Poésies, CL)

Carico d’anni e di pechati pieno[7]

(Poésies, CLV)

Di morte certo, ma non gia dell’ ora[8]

(Poésies, CLVII)


XXVIII

Voir page 177–178


I’ sto rinchiuso come la midolla
Da la suo scorza, qua pover’ et solo.

………………………………………………
Io teng’ un calabron’ in un horciuolo,
In un sacco di quoio ossa et capresti,
Tre pilole di pec’ in un bocciuolo.[9]
Gl’ occhi di biffa macinat’ et pesti,
I denti come tasti di stormento,

Ch’al moto lor la voce suon’ e resti.
La faccia mia ha forma di spavento ;

………………………………………………
Mi cova in un orecchio un ragnatelo,
Nel’ altro canta un grillo tutta notte ;
Ne dormo et russ’ al catarroso anhelo.

………………………………………………
L’arte pregiata, ov’ alcun tempo fui
Di tant’ opinion, mi rec’ à questo,
Povero vecchio et serv’ in forz’ altrui ;
Ch’ i’ son disfatto, s’ i’ non muoio presto.

………………………………………………
Dilombato, crepat’, infrant’ et rotto
Son gia per le falich’, et l’osteria
È morte…

(Poésies, LXXXI)
  1. « Moi qui vous ai été donné seulement pour une heure, je suis donné pour toujours à la mort. Plus ma beauté a charmé, plus de larmes elle laisse : — mieux eût valu que je ne fusse jamais né. »
  2. « Si jamais j’ai vécu, toi seule le sais, pierre qui m’enserres ici. Et si quelqu’un se souvient de moi, il lui semble rêver : si rapide est la mort, que ce qui a été semble comme s’il n’avait jamais été. »
  3. « Qui me pleure mort espère en vain, baignant mes os et mon tombeau, que je refleurirai comme un arbre d’hiver : homme mort ne renaît pas au printemps. »
  4. « Déchargé d’une importune et pesante dépouille, — mon cher Seigneur ! — et détaché du monde, comme une barque fragile je retourne à toi, lassé, de l’horrible tempête dans le doux calme… »
  5. « De jour en jour, depuis mes premières années, Seigneur, tu fus mon secours et mon guide… »
  6. « Les chimères du monde m’ont volé le temps, qui m’avait été donné pour contempler Dieu… Mon cher Seigneur, raccourcis-moi de moitié la route qui monte au ciel, donne-moi la haine de tout ce que vaut le monde, de toutes ses beautés que j’honore et que je sers. Que la mort me conquière la vie éternelle ! »
  7. « Chargé d’années et lourd de péchés… »
  8. « Certain de ma mort, mais non de l’heure de ma mort… »
  9. Allusion à la pierre, dont il soutirait : — « Tre pietre nella vesica », explique Frey.